La Miracolosa Elettronica Apparizione
Mi ero instradato verso il bar del Babo per prendermi un gelato alla fragola più cioccolato più a volte limone se ne rimaneva un mezzo cucchiaio ed un centolire.
Oh...non so se hai capito bene...ho detto "Babo"...gelati in cono oppure in coppetta di cialda abbastanza flaccida e stantia; le indimenticabili nocciola e fragola, ed il cioccolato incancellabile, ed il chimerico pistacchio, ed il limone epico della mia prima esistenza se ne rimangono inchiavardati in quei contenitori stagni, dietro al suo bancone di alluminio lucido come un binario ferroviario su cui passano solo accelerati avariati, tardivi e ritardati.
Il Babo, già di per sè, palesava altri segni inequivocabili della sua manifesta superiorità su tutte noi burbe imberbi, primo fra tutti la sua "Sportiva Matra-Simca Bagheera" tutta di vetroresina azzurra, la veraautodeimieisogni, tanto rassomigliante ad una Polistil da tenere nascosta nella cartella…
Nel momento stesso in cui penetravo nel territorio di frontiera del suo bar aumentavano proporzionalmente i miei anni d'età, il mio squilibrio e la mia destrezza.
Invero il Babo era uno dei covi in cui mio padre, tarchiato ed inesorabilmente gnecco, si rifugiava a bere bianchi spruzzati e giocare a ramino dopo essere uscito dal suo turno di 8 ore alla Fabbrica.
Sistemi depressionari di alfa senza filtro, nazionali esportazione e emmeesse pacchetto morbido scorazzavano rombando e crepitando nella sala gioco, dando luogo a precipitazioni sparse di birrette Henninger da 25cl, mezzilitri di rosso fatto col bisolfito, pirli e camparini sbiancati, in un putiferio acustico di bestemmie trucide, imprecazioni torbide, profezie millenaristiche, salmi gloriosi ed inni vittoriosi...
Mi ero indirizzato lesto, e ci ero pure arrivato dal Babo, che mi guardava circospetto e malfidente, come si guarda una schedina della Sisal fallata, barbuto, torvo e spoglio,
ed eccola:
La Miracolosa Elettronica Apparizione.
Nel retrobottega, saletta interna ai tempi discosta dalla plebe, dove si consumavano i simposi più bizzarri, una specie di sommergibile indigeribile incagliato di sghimbescio tra il periodo postbellico e gli Anniottanta, proprio lì, accostata al muro di fianco all’ingresso del cessoturca senza presa d’aria in cui più volte rischiai l’asfissia per ostruzione fisica volontaria delle prime vie aeree, riemergendone comunque sempre, benché cereo e provato nell’intimo più profondo ed iracondo….
Voilà…l’è là...era comparsa...
Consisteva in un trabiccolo a baracchino, bluastro ed inconsueto, tutto decorato sulla fiancata con un mostrone plumbeo che avanzava torvo e grifagno in un panorama di crateri color zucca mantovana,
irradiante un grugnito ritmato bum-bum-bum di suoni blippanti:
"SPACE INVADERS"
c’era scritto sopra in giallo.
La prima invasione vera che abbiamo sopportato, io e la mia generazione eritematosa,
la prima autentica digressione dal seminato del sollazzo letterario, filmico, onanistico od oratoriale,
l'Atomica che ci aspettavamo inebriati e ci meritavamo scalcagnati,
con tutto il suo bel fungo di pixel incorporato ed i suoi rutti marziani
era, alfine, arrivata.
Bastavano 50 lire per salvare il mondo.
Da quel momento non siamo stati più capaci di salvare nemmeno noi stessi;
perlomeno io, parlo per me, non sono stato più lo stesso,
e neppure il mondo attorno a me.
50 lire, per il solo gusto di sparare all'astronave.
Chi cazzo c'era nell'astronave, e dove andava, e tutta una trafila di altri
concetti filosofico-etico-adolescenziali scivolarono in un battibaleno nell’immane oceano del fottesega.
L’importante, d’ora in avanti, sarebbe stata solo una cosa:
Non farsi beccare.
Tenere duro, il più possibile, dietro a ‘sta merda di Fort Apache stile latrina campestre,
un colpo dopo l’altro,
un’ondata dopo l’altra,
fino all’inevitabile resa, per forza di cose, incondizionata.
Game over.
Fanculo.